Growth Hacking, SEO ed Inbound Marketing per lanciare la tua Startup


23/03/2015
Fabio Di Gaetano
Strategist e Department Manager
Argoserv

Grow with us, since 2003
Fabio Di Gaetano
Strategist e Department Manager
Dal 2003 mi occupo di marketing e strategie digitali al servizio del business e ho contribuito a fondare il team Argoserv.
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Fabio Di Gaetano
Sono autore del libro SEO Energy e fra gli autori del Manuale Ninja del Web Marketing: sono docente e formatore per Ninja Academy, la business school del “Il Sole 24 Ore” e lo IUL.

Growth Hacking, Inbound Marketing e SEO, ecco i suggerimenti per lanciare una startup nell’intervento che ho avuto l’onore di tenere in occasione del GEC 2015 e della Battaglia delle Idee a Milano il 17 marzo 2015.

Spero che fra di voi si nasconda il prossimo Bill Gates o Steve Jobs o Elon Musk. Domani combatterete a suon di idee per cercare di far affermare la vostra startup e la vostra idea nei confronti delle altre.

Growth Hacking cos'è Start-Up

Ognuno di voi è convinto di aver trovato l’uovo di colombo: il sogno di ogni start upper è quello di poter creare qualcosa in grado di cambiare il mondo o il proprio settore d’interesse, di fare fortuna e di passare il resto della vita in un’isola da sogno magari a scrivere libri, canzoni o poesie.

In bocca al lupo! (Ho avuto la fortuna di conoscere molti innovatori e start upper ma non ne conosco ancora uno che si sia ritirato a scrivere libri). Mentre stavo scrivendo il canovaccio del mio intervento sono state pubblicate le statistiche inerenti le start up innovative iscritte nell’apposito registro nazionale.

Startup e growth hacking in Italia

Ecco la foto dell’Italia delle start up:
(leggete il rapporto che è comunque interessante). Lo trovate qui:

Ora i dati riportati, sono medie statistiche (e sono significative per quel che possono valere le rilevazioni medie) ma la realtà numerica che emerge è desolante: mediamente le società sono sottocapitalizzate, hanno pochi dipendenti, sono in perdita e sono state iscritte in un trimestre oltre 300 imprese, inoltre attualmente in Italia le start up censite solo in tale registro sono oltre 3.000.

Le aziende che sono capitalizzate per oltre un milione di Euro si contano sulla punta di una mano.

startup avviate in italia

L’altro dato poco piacevole che non emerge dal rapporto è che entro 5 anni molte di queste imprese chiuderanno i battenti (come avviene per le imprese tradizionali).

Come, questo tizio, questo iettatore patentato ci scoraggia prima di una sfida fra start up?”… Direte voi? (C’è chi fa peggio, un tale, un imprenditore noto nel mondo della televisione, ha suggerito agli start upper di cambiare strada e di imparare a fare le pizze per avere migliore fortuna…).

No, tranquilli credo fermamente che nelle start up e nell’innovazione ci sia il futuro del paese ma voglio solo anticiparvi (e lo dico per esperienza personale di cui vi parlerò) che la strada è lunga e dura, che affronterete molti problemi, e che anche se non riuscirete a creare la prossima Apple, potrete trovare il vostro percorso e vivere un’esistenza appagante e soddisfacente, anche senza un incubatore o un fondo che investa nella vostra idea.

Le nuove tecnologie infatti hanno appiattito il mondo (come aveva previsto Friedman in “The world is flat”) e le “pulci” possono ritagliarsi una nicchia o uno stagno in cui possono battere competitor enormemente più dotati di mezzi: il cervello, l’inventiva e la tenacia sono le armi per vincere la guerra dell’innovazione.

the elephant and the flea the world is flat

Ma torniamo al tema dell’intervento perché Growth Hacking ed Inbound Marketing: cosa hanno in comune tali strani vocaboli che sanno tanto di markettaro? Rubo una frase di Guy Kawasaky:

Se hai più soldi che cervello concentrati sulla pubblicità e il marketing. Se hai più cervello che soldi, allora adotta il marketing inbound.

(la frase è stata coniata per l’Inbound Marketing ma può essere adattata perfettamente al Growth Hacking).

Come lanciare o avviare una start up con poche risorse?

Questo non significa che le imprese che investono in pubblicità o spendono budget importanti siano stupide, anzi se avessi disponibilità sfrutterei tutte le frecce nella faretra del marketer, ma significa che le start up (che riportando i dati medi del rapporto italiano hanno un capitale di 50.000 Euro) non possono utilizzare le strategie di marketing tradizionale e devono sfruttare i nuovi sentieri digitali per bypassare il problema: devono fare di necessità virtù.

Devono crescere velocemente (si spera) con poche risorse. Questo è il minimo comune denominatore che lega Growth Hacking ed Inbound Marketing: le parole chiave della nostra cavalcata sono crescita e mezzi scarsi. (anche le aziende tradizionali e con grossi budget possono usare le medesime strategie). Se vuoi approfondire le tue conoscenze e scoprire come avviare la tua azienda non perderti il Corso online in StartUp management di Ninja Academy.

Growth Hacking Lever

Crescita con pochi mezzi = strade non battute.

Cominciamo a parlare del Growth Hacking, un termine coniato per primo nel 2010 da Sean Ellis, che a differenza del sottoscritto oltre a parlare di Growth Hacking è un growth Hacker.

Growth Hacking: definizione, significato e importanza per avviare una startup

Ecco alcune proposte in 3 parole stimolate proprio da Sean Ellis nel sito www.growthhackers.com

  • Sean Ellis: “Experiment Driven Marketing”
  • Anuj Adhiya: “Creatively Iterated Growth”, “Engineered Marketing Optimization”
  • Ryan Wardell: “Unconventional User Acquisition”
  • Lia Morling: “Hack. Measure. Learn”, “Marketing engineering combination”
  • John Loken: “resource constrained optimization”

Vedremo come tutte le definizioni siano corrette e si concentrino su aspetti particolari della metodologia utilizzata.

Come avrete capito non esiste ancora una definizione univoca e calzante, per ognuno il growth hacking è qualcosa di diverso: allora, per capirci qualcosa, dobbiamo cominciare per gradi. Nomen omen, nel nome il destino, dicevano i nostri antenati latini: detto che calza perfettamente per spiegare cosa s’intenda per Growth Hacking.

Growth: crescita, crescita, crescita a qualunque costo.
Se non c’è crescita “virale” o secondo curve esponenziali (>1=1!) non c’è growth hacking.
La crescita è la stella polare del Growth Hacker.

Crescita di cosa?
Della conoscenza del prodotto, dell’idea o del brand?
No non è sufficiente, sarebbe un buon risultato ma saremmo solo all’ingresso dell’imbuto. Crescita di lead o di sottoscrittori? No non basta ancora: in questo caso i potenziali utilizzatori sono solo entrati nel funnel e ci hanno “provato” ma non li abbiamo ancora legati a noi.

Crescita di utilizzatori abituali. Bingo!

sacro graal della crescita

Potrete anche far propagare viralmente la vostra idea, potrete avere milioni di sottoscrittori, potrete avere mailing list chilometriche: se i vostri clienti non utilizzano abitualmente il vostro prodotto, non avete fatto growth hacking ma al massimo un’ottima attività di marketing tradizionale. (I guru del Growth Hacking direbbero che il vostro prodotto non funziona e di riprogettarlo anche se io sarei già ben contento di ottenere simili risultati).

Pensateci bene: la vera forza di Facebook non consiste soltanto nel fatto che abbia oltre un miliardo di utilizzatori, ma nel fatto che le persone passino sempre più tempo sulla piattaforma ed i pubblicitari e i brand (come accadeva per la TV) vogliano trovarsi ed investire là dove si raccolgono i potenziali clienti o, per dirla alla Seth Godin, le proprie “tribù”.

(My Space si è estinto perché la gente pur essendo iscritta usava e passava tempo su Facebook, lo stesso dicasi per Second Life). Quante App avete installato? Quante ne usate?
A quante mailing list siete iscritti? Quante mail e quali leggete abitualmente? Conoscenza, uso, riuso e fedeltà sono le parole chiave dei Growth Hackers.

Ecco come Neil Patel, di cui vi suggerisco di leggere le guide ed i post, da cui ho tratto alcuni esempi della presentazione disegna l’imbuto del Growth Hacking.

growth funnel

Quindi per definirmi growth hacker di successo devo far sì che il mio prodotto si diffonda viralmente e venga utilizzato abitualmente. Per riassumere i concetti prendiamo in prestito lo schema dei motori di crescita disponibili utilizzato da Eric Ries:

There are three fundamentally different engines of growth:

  1. The paid engine of growth
  2. The viral engine of growth
  3. The sticky engine of growth

Ci siamo o quasi… Problema: come fa il mio prodotto a diffondersi viralmente se non ho budget per reclamizzarlo, se non ho un ufficio marketing a disposizione? (Secondo i canoni della produzione e distribuzione imposti dal modello Fordista Taylorista di stampo novecentesco dovrei essere spacciato).

I Growth Hackers e le nuove formule del marketing

Soluzione: il prodotto deve avere in sé il marketing collegato, attaccato (o scusate l’italiota). Il marketing deve essere “embeddato”, incorporato nel prodotto. I prodotti digitali sono i soli in grado di beneficiare di tale tipo di possibilità (un profumo, un dentifricio, un’automobile, sono esclusi): quindi, quando parliamo di growth hacking ci riferiamo a startup (ma lo stesso discorso vale per le aziende tradizionali) che realizzano e distribuiscono prodotti digitali.

Come si fa ad “embeddare” il marketing nel prodotto? Va progettato e sviluppato come parte integrata nel codice sorgente del prodotto. Quindi un programmatore (è questa la parte un po’ da hacker) deve essere sicuramente presente nella start up e deve, in collaborazione col team, trovare delle strade impervie e non battute per far sì che il proprio prodotto abbia massima distribuzione ed utilizzo.

Le barriere fra programmazione e marketing crollano. Come qualsiasi marketer, il team della start up, anche se con metodi non convenzionali, deve trovare (condizione essenziale ma non sufficiente) anzitutto il modo di raggiungere il proprio target, la propria tribù.

Deve trovare la nuova via della seta della distribuzione digitale: deve trovare (analogamente a come deve fare il buon SEO ed il bravo Inbound Marketer) e cercare di presidiare gli snodi (c.d. touchpoints) principali del buyer’s journey della propria audience ovvero deve far vedere il proprio prodotto proprio laddove i suoi utenti vanno ad incontrarsi (motori di ricerca, social, community, forum)… Torneremo fra poco su tale argomento.

Finora ci sono due strade utilizzate dalle aziende per crescere viralmente: il prodotto si distribuisce per forza propria con un’escamotage particolare come hanno fatto e fanno tuttora Evenbrite, Dropbox, Hotmail etc.

La crescita virale del prodotto sfrutta un’onda che si è già creata con artifici più o meno border line. Ad esempio può agganciarsi alle mailing list dell’utente, ai suoi circoli social, o può sfruttare la popolarità di siti o software già diffusi.

Anche nella prosecuzione del discorso, per vedere come tali strade possano essere concretamente seguite, torna utile una semplificazione concettuale che ho ripreso da Neil Patel (la viralità per forza propria o da “sanguisuga”, può essere raggiunta con uno dei seguenti metodi).

Le case histories del Growth Hacking

case history lancio startup linkedin

Ormai gli esempi in tale campo si moltiplicano: nell’immagine trovate il caso di un famoso social che sfrutta i contatti di altri network, ma il principio è ripetibile per i contatti reperibili sulle agende telefoniche, sulle mail e chi più ne ha più ne metta.

Case History start up what runs where

Interessantissimo lo stratagemma utilizzato da What Runs Where, che oltre ad usare gli inviti cerca di massimizzare il tasso di retention: per cercare di recuperare gli iscritti alle mailing list che disdicono il servizio chiede la motivazione della disdetta, e appena implementa nuove funzionalità di prodotto che rispondono all’esigenza notificata invia una mail in cui si comunica la nuova feature (il servizio così riesce a recuperare un iscritto su quattro).

Condivisioni sociali

Anche qui abbiamo scelto Eventbrite perché per poter accedere alla Battaglia delle Idee abbiamo utilizzato tale strumento, ma esistono esempi di tale tecnica a iosa.

il caso di successo di Eventbrite

Integrazione delle API con siti mainstream.
Tale modalità operativa costituisce sicuramente il presente ed il futuro del Growth Hacking. Infatti, l’integrazione tramite API e hack vari con le funzionalità di altri software o social network diffusi, si può rivelare un driver di crescita potentissimo.

E con le API si può sbizzarrire la fantasia… Lascereste vostro figlio in mano ad una baby sitter sconosciuta? Ecco come Urbansitter ha tentato di sfruttare il social graph di Facebook per far aumentare la fiducia sociale in chi presta il servizio di babysitting.

I growth hackers di Urbansitter

Un espediente simile è stato utilizzato da Air BnB, per verificare l’affidabilità ed il pedigree social delle persone che dormono e vengono ospitate nelle case di privati. Ho citato il caso di Air BnB, non casualmente. Tale servizio, la cui forza maggiore consiste nel fatto che comunque fornisce alloggi molto più economici rispetto a quelli della concorrenza ufficiale (alberghi, residence, ecc) si è lanciato sfruttando la visibilità di Craiglist, senza che Craiglist avesse rilasciato le API, fin quando lo stesso Craiglist non ha bloccato la pratica.

Backlink o link di ritorno per attrarre traffico verso il proprio sito.
Questo è il più classico degli esempi inaugurato da Hotmail, ma una cui interessante variazione è fornita dalla creazione di widget utili da inserire nel proprio sito in cambio di un link di ritorno. (Il widget nel caso di specie consiste nella possibilità di creare sondaggi).

come lanciare una startup: gleam

Premi ed incentivi.
La case history di riferimento è fornita da Dropbox che, in cambio della presentazione di un amico, fornisce spazio gratuito aggiuntivo rispetto alla soluzione standard. Particolarmente interessante è lo stratagemma usato da Rankscanner. Il premio fornito a chi invita un amico è duplice: oltre ad offrire un servizio “ampliato” rispetto a quello di default, se inviti un amico sul social network, la tua richiesta di attivazione del servizio viene eseguita immediatamente (guadagni una specie di priority pass). Per ogni nuovo iscritto che hai invitato, inoltre, guadagni 10 keyword in più.

gli startupper di rankscanner

Passaparola (o crescita organica).
In questo caso dissento da Neil perché il passaparola, a mio modesto avviso, rientra più nella qualità intrinseca del servizio/prodotto che non in una funzione integrata nel prodotto. Però attenzione: si può codificare una qualche feature in grado di facilitare la “wow experience” o che favorisca il coinvolgimento o la raccolta di feedback.

Un esempio comunque interessante è fornito da Slack: il team della start up cerca di ottenere feedback, di rispondere immediatamente (nell’azienda si vantano di evadere oltre 10.000 richieste al mese) di implementare il prodotto per fornire un servizio completo, personalizzato e, così facendo, ottiene testimonial ed evangelist le cui “wow experiences” vengono mostrate in bella vista in qualsiasi vetrina digitale del servizio.

organic gowth hacking: slack

Alla fine della carrellata una precisazione importante: non sempre gli stratagemmi digitali devono essere straordinari o roba da geek. Spesso lo studio della natura umana e delle esigenze basilari che accompagnano l’uomo sin dalla sua comparsa sulla Terra riescono a fare il gioco del growth hacker.

Sono stato particolarmente colpito dal caso di Yelp (un servizio di recensione di attività, come ne esistono migliaia) che è divenuta una billion dollar company facendo leva sulla gamification e sulla voglia di riconoscimento sociale di coloro che scrivevano le recensioni. Premiando con galloni ed eventi dedicati ai top contributor, il team di Yelp ha innescato un circolo virtuoso che dalle città della California si è esteso a macchia d’olio (pagando i recensori all’inizio il servizio si era rivelato un flop).

Come assicurarsi la crescita virale?

Il quadro è quasi completo, manca solo un dettaglio: come fare a diventare virali? Magari qualcuno conoscesse il segreto: possiamo emulare strade e case histories passate ma questo non garantirà il successo della nostra idea.

C’è una sola ricetta che può trarsi dalle esperienze di cui vi ho parlato: la crescita non è il frutto di un semplice colpo di genio ma si basa su un processo maniacale di analisi, trial and error basato sui dati e sui test. Misurare misurare misurare e fare lavoro di fine tuning (questo è il segreto di qualsiasi forma di marketing digitale). Dopo il trecentesimo tentativo forse avrete fatto Bingo, a patto di avere un servizio buono.

Se avete voglia di approfondire l’argomento del testing e dell’analisi qui trovate suggerimenti utili. Sicuramente dovrete trovare le giuste vie di distribuzione digitale, i cosiddetti touchpoint dei buyer’s journey dei vostri potenziali clienti, li dovrete far entrare nel vostro funnel e dovrete far usare il vostro prodotto. Senza uno solo di questi anelli l’impalcatura crolla.

Come avrete notato, almeno per i prodotti digitali, vengono stravolte le definizioni tradizionali di prodotti, di distribuzione e di marketing.

Welcome to growth hacking. Or better, welcome to actual marketing, where whatever works is marketing.
Ryan Holiday.

Che bello ora avete gli esempi, la vostra dote di buona volontà, sapete dove si radunano le vostre tribù… il gioco è fatto. Il problema magari può consistere nel fatto che la nostra start up non si occupi di prodotti digitali o può darsi che non riusciamo a trovare la formula segreta della viralità.

Inoltre leggendo tutti i casi di successo provenienti da oltreoceano, si evince che comunque quasi tutte le start up hanno trovato fondi e finanziamenti per oltre un milione di dollari (cosa che in Italia è un fenomeno ancora abbastanza raro) che hanno aiutato il metodo basato sui test.

Soluzione? Non ci resta che andare a fare i pizzaioli…

Entrano in gioco i motori di ricerca e l’Inbound Marketing

Non proprio, e qui entra in gioco il mondo piatto, quello delle nicchie e delle code lunghe che le pulci possono sfruttare usando sapientemente il web e le nuove tecnologie. A patto che il nostro prodotto sia giusto o comunque l’idea ben congeniata, abbiamo chances di successo e non dobbiamo buttarci giù al primo fallimento: se manca la sostanza qualsiasi strategia di marketing digitale per quanto geniale è destinata a fallire.

Iniziamo allora ad introdurre il concetto dell’ Inbound marketing partendo dalla SEO o meglio dalla visibilità sui motori di ricerca o Search Engine Marketing.

Spesso pensiamo alla SEO solo come ad una vetrina sul Web di un’attività esistente: è una delle possibilità di sfruttare Google and Co. Invece vi mostrerò come abbiamo cercato anche di usare i motori di ricerca per raggiungere i primi due anelli del funnel e creare un’attività web based ex novo.

from growth hacking to seo

La nostra idea era quella di creare un marketplace (non lo nomino per non fare una marketta) nel quale consentire a commercianti e privati di offrire online spazi di visibilità per la vendita di una particolare categoria di prodotti nell’ambito di una nicchia dell’automotive in cambio di un canone (o fee). Il nostro modello di business era quello del freemium.

In realtà ci siamo rivolti al web per disperazione perché prima avevamo tentato la strada della rivista cartacea ma i costi di stampa e distribuzione erano proibitivi. I problemi erano due: come attrarre inserzionisti in grado di arricchire la nostra vetrina virtuale e come attrarre la nostra audience potenziale, coloro interessati all’acquisto dei prodotti che esponevamo.

Abbiamo intuito che per poter riuscire avremmo dovuto avere un’offerta ampia per invogliare i consumatori a rimanere sul sito (e con molti sacrifici abbiamo convinto gli espositori ad inserire i propri annunci gratuitamente), ma il problema più grande era quello di attrarre visitatori sul sito.

Dovevamo trovare il nostro canale di distribuzione ed abbiamo pensato che la chiave del successo di una simile attività risiedesse nella visibilità sui motori di ricerca: così ci siamo interessati alle discipline che poi avremmo scoperto chiamarsi SEO e SEM (quando abbiamo iniziato non conoscevamo neanche l’esistenza dei termini ed abbiamo imparato ad arrangiarci sul campo).

Sin da subito abbiamo avuto la fortuna di intuire due fattori importanti per ottenere visibilità su Google e & Co.:

1) l’importanza delle keyword cioè le parole chiave di ricerca
2) la conquista delle nicchie e della coda lunga (quella che io chiamo “occupazione delle SERP”.

Essere presenti sui motori (Google in primis) sfruttando le domande ed il gergo di chi è interessato ai vostri prodotti è fondamentale: se poi riuscite a capire le intenzioni di ricerca e ad essere presenti massicciamente nei risultati cercando di dare tutte le risposte possibili usando le parole chiave (keywords) usate del vostro pubblico il gioco è fatto.

Vi faccio un esempio: la keyword fondamentale del nostro settore era un termine gergale, il sostantivo corretto sarebbe stato un altro ed abbiamo ragionato in questa maniera: dobbiamo fare in modo che il nostro portale si posizioni per tutte le nicchie “calde” collegate alla keyword d’interesse.

Quindi abbiamo ottimizzato il portale per le keyword generiche:

per quelle più specifiche
keyword + usati

keyword + nuovi

per le categorie merceologiche

Keyword+categoria

per le ricerche geolocalizzate

Keyword + regione

Keyword + città

Per i nomi delle marche
Keyword+Marca

Per le varie combinazioni possibili

Keyword+ usati+ marca

Keyword+ usati+ regione

………………………………………..

Insomma non ve la faccio lunga ma per semplificarvi il discorso vi dico che attaccando la coda lunga delle keyword correlate (quelle che spesso sono suggerite da Google con le ricerche correlate e con Google suggest) e sfruttando in maniera quasi scientifica la long tail (prima che lo facessero altri) col tempo abbiamo raggiunto i seguenti risultati:

Chiunque cercasse su Google un argomento attinente al nostro settore ci trovava nelle primissime posizioni. I numeri non sono eccezionali in assoluto, ma sono straordinari considerando la nicchia di riferimento.

lancio startup italiana

Nonostante tali risultati sul web, fino al 2008, non potevamo vivere di quello che facevamo ed invece di arrenderci ci riunivamo di sera per migliorare il progetto (a breve riusciranno una nuova release del sito ed il sito mobile ): tutt’oggi dobbiamo ingegniarci per sopravvivere e per rintuzzare gli attacchi dei nuovi competitor.

Comunque sui motori di ricerca, che costituiscono il nostro canale di distribuzione privilegiato, spesso battiamo la concorrenza di realtà internazionali e di altri agguerriti gruppi e siamo diventati fra i tre leader del mercato nazionale. Non abbiamo inventato nulla abbiamo solo intercettato la nostra tribù sul suo sentiero digitale.

query di ricerca google

Che c’ entra la SEO con l’inbound marketing?

La SEO è uno dei pilastri fondamentali (se non il pilastro fondamentale ) dell’inbound marketing. Prima di parlare dell’Inbound è importante capire come sia nata l’esigenza di ampliare gli orizzonti e di andare oltre la SEO.

1. Per esigenze pratiche di business (paura)
2. Perché abbiamo capito che stava cambiando il processo di selezione ed acquisto dei nostri utenti o in parole povere si stava modificando il modo in cui i nostri clienti potenziali passavano il tempo sul web.

1) Paura
poiché in qualche modo la visibilità e il traffico generato dal posizionamento raggiunto su Google (che in Italia ed in Europa possiede il 90% del mercato della search), porta più visite e conversioni rispetto a qualsiasi altro canale, è una fonte di reddito vitale nella nostra attività, ci siamo posti il problema delle conseguenze legate alla dipendenza da un unico “fornitore” e ci siamo chiesti: “se le cose dovessero cambiare che fine faremmo?
Penserete: ”nel lungo periodo siamo tutti morti”.

Concordo: di utopie e false supposizioni son piene le fosse, ma se mi seguite nel ragionamento, vi accorgerete che se vi abbeverate preso una sola fonte, se questa si esaurisce si inquina, o l’acqua cambia percorso (magari perché a monte costruiscono una diga), senza un piano B potreste correre il rischio di morire di sete!

Se può sembrare un concetto astratto, un esempio reale aiuta. Un’azienda nostra cliente, che ha come modello di business prevalente i ricavi provenienti da Adsense, da un giorno all’altro ha visto crollare il traffico sul suo sito del 30% a causa di aggiornamenti negli algoritmi di Google (e se in passato avete usato trucchetti può succedere di peggio…).

Lasciamo stare per un attimo la motivazione tecnica del crollo e soffermiamoci sull’effetto: l’entità del danno potrebbe causare non pochi problemi nel migliore dei casi.
Il discorso che sto per fare riferendomi a Google, si può estendere a qualsiasi tipo di “dipendenza” da un singolo canale (online ed offline). Pensate a quello che è successo con Facebook: chi aveva costruito il proprio traffico esclusivamente sui like e sui fan faticosamente guadagnati sulla piattaforma del gigante social (che “è gratis e lo resterà per sempre”), da Dicembre 2013 con il cambiamento degli algoritmi (c.d. Edgerank) e la portata dei post , credo, che non se la passi granché bene a meno che non investa sui Facebook ADS.

Premesso che Google (come gli altri giganti della web economy), non è il male o il bene, ma un’azienda con una visione chiara che si preoccupa dei suoi (legittimi) interessi e che porta avanti un progetto lungimirante per il suo futuro e, accantonate per un momento le (legittime) istanze inerenti a privacy, dati sensibili ed eventuali abusi di posizione dominante, concentriamoci sullo stato dell’arte in tema di search.

#1 Google rilascia circa 500 aggiornamenti ogni anno (che bello, oltre uno al giorno compresi i Sabati e le Domeniche): siete sicuri di poter mantenere ed incrementare sempre il livello di traffico attuale e che qualche involontario incrocio algoritmico non possa “affondarvi”?

#2 Google è un’azienda che vuole fare profitti e decide autonomamente cosa mostrare, come e quali pratiche incentivare o punire: le variazioni di umore sul guest posting e la link building, il modo di mostrare i risultati nelle SERP, la mutabilità dei rich snippet, l’apparizione e sparizione di fotine suggeriscono qualcosa?

Mantenendo lo stesso posizionamento attuale si potrebbe perdere molta visibilità, traffico, contratti e contatti solo se Google decidesse di dare priorità a qualche feature o a qualche altro risultato sponsorizzato. Pensate, ad esempio, a come le SERP (le pagine dei risultati di ricerca) delle attività locali siano state stravolte dall’avvento di Google Maps, place, local o come diavolo si chiama.

#3 Se non fossimo simpatici a Google? Se big G volesse entrare nel vostro pollaio, o nella vostra nicchia? Non lo auguro a nessuno ma è accaduto e accadrà ancora. (Vico insegna!).

#4 Se Google perdesse il monopolio della Search? Si tratta di un’ipotesi altamente improbabile ma è già successo in passato in altri settori e può ripetersi oltre che per motivazioni di tipo tecnico (disruptive technologies) anche per imposizioni legislative di autorità antitrust (per vedere cos’è successo in America con i colossi del 20° secolo invito a leggere The master switch).

Inoltre ricordo, a prescindere dalle considerazioni suesposte e qualora vi foste distratti, che non esiste la pagina delle risposte, la SERP pura (come entità metafisica immutabile), ma da tempo esistono i risultati di ricerca personalizzati, anzi privati. Per cui la prima posizione sulle SERP, garantita da molti santoni, magari in 20 giorni, è un’utopia.

Infatti i risultati di ricerca stanno trasformandosi sempre più in un vestito sartoriale e, semplificando molto, vengono:

  • personalizzati in base al luogo in cui digiti la query
  • personalizzati in base alle abitudini precedenti e allo storico delle ricerche
  • personalizzati in base al social circle di chi cerca (pensa al modo in cui se sei loggato su G+ visualizzi la SERP: potresti non essere posizionato per nessuna keyword ma se fossi accerchiato da tutti gli appartenenti alla tua nicchia, con qualche accorgimento, potresti avere tutta le visibilità di cui ha bisogno)
    varie ed eventuali…

Per portare altra acqua al mio mulino (o forse al vostro) invito tutti a riflettere sulle nuove modalità di interrogare il gigante di Mountain View che, in qualche caso, si stanno appena affacciando sulla scena ed in qualche altro sono già prevalenti (mainstream): la ricerca vocale fatta su Apple o su Android, presenta caratteristiche completamente diverse rispetto alla ricerca a cui ci eravamo abituati sul caro e vecchio (si fa per dire) desktop, anche se le keyword saranno importanti ancora per molto.

La ricerca su mobile rivela abitudini insolite rispetto ai trend consolidati (al convegno GT 2013 Zanzottera ha stupito la platea fornendo dati assolutamente in controtendenza rispetto alle possibili previsioni sulle query da smartphone). La ricerca predittiva che stravolge il concetto del termine. Pensate a Google Now: l’algoritmo fornisce informazioni senza che vengano chieste ma incrociando i dati del vostro biglietto aereo, della vostra localizzazione, delle abitudini, invia suggerimenti proattivi autonomamente.

Pensate inoltre a come potrebbe cambiare il flusso di interazioni con i Google Glass e la realtà aumentata, con gli Smartwatch e le varie diavolerie “indossabili”, con l’Internet delle cose e le auto che si guidano da sole. Insomma, grandi novità in arrivo… Non sappiamo cosa ci riservi il futuro ma è certo che i famosi 10 link blu non avranno più la stessa rilevanza che hanno avuto finora.

La SEO pertanto non è morta ma ha subìto un processo di parcellizzazione e iperspecializzazione da un lato, (esiste non più il SEO ma esistono i SEO), e dall’altro tutta la disciplina sta comunque evolvendo verso qualcosa di più organico e ampio (come sostiene l’ottimo bisogna ampliare gli orizzonti verso il marketing e le competenze umanistiche oltre che quelle scientifiche, ricordando sempre che i SEO sono comunque technical marketers).

2) Motivazione di ordine strategico:

Oggi per poter dare la giusta visibilità alle aziende e garantirsi un futuro bisogna indirizzarsi verso quella che Rand Fiskin chiama la conoscenza T-shaped…

t-shaped knowledge for growth

e sfruttare in maniera intelligente tutte le armi nella faretra del web marketer: contenuto (quindi Content Marketing declinato in tutte le possibili forme compatibili con i mezzi a tua disposizione), SEO, SEM, Social, Blog, mail marketing per utilizzare al meglio tutti i gangli della struttura a nodi della rete e non dipendere da una sola fonte.

Solo l’inbound marketing ed un approccio olistico al web marketing possono consentire di intersecare i touchpoints o i punti di contatto nel buyer’s journey, cioè il viaggio digitale del proprio cliente: infatti il percorso di scelta dell’utente è diventato un viaggio aereo ed è necessario vincere nello Zmot (il momento zero della verità in cui concorrono blog, recensioni, consigli degli amici, influencer, marketer e chi più ne ha più ne metta).

zmot

Ecco un piano Inbound sviluppato che abbiamo proposto alla Battaglia delle Idee di Salerno del 2014.

holistic inbound plan

Ed ecco gli strumenti dell’inbound rispetto all’outbound…

inbound vs. outbound

Come abbiamo sperimentato?
Utilizzando tutte (o quasi) le frecce nella faretra dell’apprendista Inbound Marketer.

  1. Abbiamo realizzato un sito user Friendly in grado di parlare il linguaggio dei nostri amici/utenti (dalla home con un click si arriva ovunque con semplicità per consentire di mimare lo stesso gesto che i trasportatori, non abituati al digitale facevano sfogliando le riviste).
  2. Abbiamo riempito di contenuti (offerte) il sito con una campagna di mail-marketing mirata ai commercianti inserzionisti.
  3. Abbiamo utilizzato la SEO, il nostro cavallo di battaglia, per acquisire visibilità con il sito nelle pagine dei risultati di ricerca di Google per le keyword long tail più interessanti.
  4. Abbiamo utilizzato il contenuto (nelle sue diverse declinazioni ipotizzabili sul web) per intrattenere, informare, contribuire a costruire una community, acquisire maggiore visibilità sui motori di ricerca.
  5. Abbiamo fatto divulgazione, abbiamo cercato di condividere emozioni, ed abbiamo partecipato ad eventi gioiosi che coinvolgevano i nostri utenti ed essendo attenti alle esigenze e alle aspettative dei nostri amici trasportatori siamo diventati virali. È questa la lezione più interessante che abbiamo appreso e che cerchiamo di portare ai nostri clienti: con una visione olistica del web marketing (Content + Social Media + SEO + Mail) e con una buona strategia si possono ottenere risultati ottimi anche in un settore, quello dell’automotive, che ha poco della leggerezza della new economy e che sa molto di pesante old Economy.
  6. Abbiamo diffuso il content tramite un blog che è divenuto il più seguito del settore e che accompagna post divulgativi a post leggeri, a video, a foto.
  7. Abbiamo creato un canale Youtube nel quale abbiamo inserito video che pur non essendo virali hanno raggiunto buoni numeri nel loro settore e che si sono posizionati nelle SERP contribuendo a creare una forte brand reputation. Per riprodurre il concetto di rivista cartacea abbiamo inventato (con scarso successo per la verità) le videoriviste (che comunque sono finite in prima pagina su Google).
  8. Abbiamo creato una Fanpage su Facebook, su Google Plus e su Pinterest che anche se con numeri modesti rispetto alle pagine generaliste sono fra le più seguite della categoria.
  9. Abbiamo contribuito a raccogliere la più grande community di appassionati di camion in Italia (e forse in Europa) che è passata da 5.000 a 40.000 fan reali ed il cui tasso di engagement è (o meglio era) elevatissimo.
  10. Abbiamo utilizzato la newsletter per portare maggiori risultati ai nostri inserzionisti ed aumentare i tempi di permanenza sul sito.
  11. Ogni giorno cerchiamo di trovare soluzioni nuove per rafforzare la nostra brand awareness online e offline.

Bene ma funziona solo con l’automotive?
Inoltre parliamo di un progetto del 2003, c’è ancora spazio nel 2015? Le risposte sono:

1) no,
2) dipende dal settore (ci sono alcuni settori off-limits perché la concorrenza è imbattibile) ma nel web esistono ancora praterie e nicchie sfruttabili dalle “pulci”.

Posizionarsi per “Inbound Marketing” con il metodo Inbound

Dovevamo lanciare su Ninja il primo corso in Italia di Inbound Marketing SEO e SEM e contestualmente accreditarci come esperti del settore (immaginate si trattasse di una start up che forniva consulenze di Inbound Marketing) e come abbiamo ragionato? Usando un procedimento molto semplice simile a quello già descritto che non richiede alcuna competenza particolare se non il SEO copywriting (cioè scrivere strizzando gli occhi ai motori di ricerca) .

Abbiamo cercato di capire la nostra buyer persona (cioè l’utente interessato al nostro “prodotto-servizio” interrogando il motore di ricerca (Google) vedendo quali fossero i termini che il gigante di Mountain view associa all’ inbound marketing e quando abbiamo cercato le ricerche correlate di Google (per attaccare le keyword long tail quelle per cui c’è minore concorrenza e per cui è più semplice posizionarsi) e Google suggest, in base ai risultati che allora venivano fornite abbiamo scritto più post indirizzati alle tematiche correlate (c.d. long tail) e cioè: “Inbound marketing definizione”, “inbound marketing significato” ed “inbound marketing cos’è”.

Scrivendo buoni contenuti siamo riusciti a posizionarci nelle prime 3 posizioni. Poi abbiamo deciso di rivolgere l’attenzione alle buyer personas interessate al corso (che dovevamo tenere alla Ninja Academy) , ed alle personas interessante alle consulenze ed all’agenzia dedicando un url del sito ed una pagina all’inbound marketing in Italia con la nostra case history. Siamo diventati gli inbound marketer più visibili sulle SERP dei motori di ricerca.

Ed abbiamo conquistato contatti, credibilità e lavoro oltre ad esserci posizionati meglio di tutti per la keyword secca Inbound Marketing e per le keyword correlate al settore (Zmot, Newsjacking ecc).

Critica. Un SEO puro, di quelli bravi, ha scritto ironicamente: bravo il vostro SEO, si è posizionato con una keyword con 600 ricerche annuali e con pochissima concorrenza. Io l’ho preso come un complimento. Se solo riuscissi ad intercettare e convertire solo il 10 % della domanda di servizi legati all’inbound sarei ben contento… I motori lavorano per me ed io non devo faticare particolarmente.

Un approccio del genere è ripetibile da tutti?

Eccovi un’altro mini racconto. La start up di una ragazza che ha seguito il nostro corso consisteva in un’attività di formazione in un settore che è e diventerà sempre più una miniera d’oro: il wine export management. Lei ed il suo team avevano le competenze giuste ma erano invisibili sul web.

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Il loro obiettivo era quello di intercettare almeno 15 iscritti ad un corso in wine export management. Posizionandosi eccellentemente con le keyword wine export manager (sfruttando la stessa logica di cui ho parlato prima), wine export management, corso in wine export management e connessi e correlati è arrivata ad ottenere oltre 250 richieste.

Tenuto conto del successo riscontrato, i giornali e le riviste regionali e i giornali locali hanno cominciato a parlare di lei e di noi come docenti della Ninja Academy. Lei ha raccontato su Ninjamarketing ed il word of mouth si è propagato online ed offline ed ha portato altri risultati.

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Mi diceva Lisa De Leonardis che importanti enti si sono fatti avanti per finanziare borse di studio e che, visto il successo dell’iniziativa, lei ed il suo team hanno intenzione di iniziare una serie di attività correlate e di iperspecializzarsi. Inoltre altri corsisti ci hanno cominciato a raccontare aneddoti simili.

Bene la SEO impiega i suoi tempi per avere successo, non avete tempo né i soldi per la SEM (adwords a apagamento) ma volete sfruttare altre tecniche di Inbound marketing.

Come fare?

Perché ci sia Inbound ci deve essere del content ed una storia. Vi racconto quella che abbiamo scoperto alla prima battaglia delle idee a Napoli.

Roberto Esposito, DeRev e l’Inbound Marketing

Poiché content is King, fate in modo che quello di cui si parla sia meritevole: vi porto l’esempio di una case history (che sa di figo) di Roberto Esposito e della sua DeRev. Attivo già a 14 anni nel campo del web (già a quell’età aveva fondato la prima start up poi ceduta) Roberto per crescere di credibilità agli occhi degli investitori ha pensato bene di: battere l’allora record mondiale di like e commenti su Facebook.

Sfidare Facebook sul social stesso perché si era accorto che i server del social blu sprecavano immani risorse: e dopo la campagna, Facebook ha modificato la propria politica energetica. Farsi ingaggiare da un noto editore e pubblicare un libro (“Figure di merda“) , facendo scrivere un pezzo a volontari in rete che lo hanno subissato di storie (oltre 8.000).

Farsi scegliere grazie alla sua popolarità come responsabile media relations della coppa America a Napoli. Parlare come speaker ad un convegno ospitato del Ted. Una volta fatte queste quattro facilissime mosse si è concentrato su DeRev, la sua start up (di cui non vi parlo perché non è oggetto inerente della giornata ma su cui vi invito ad andare anche perché potete sfruttare il crowdfunding e proporre la vostra idea) ed è riuscito a farsi finanziare una prima tranche di 1.200.000,00 euro e recentemente una seconda fase di diversi milioni di euro.

Nel frattempo i giornali hanno parlato di lui (la mattina in cui siamo andato a trovarlo la Repubblica gli aveva dedicato due pagine), ha raccolto su DeRev i fondi per la ricostruzione della Città della Scienza (quasi un milione di Euro), ha incontrato investitori americani, i politici Italiani gli fanno la corte, e si comincia a parlare di lui oltreoceano.

L’anno scorso, poiché è diventato un amico, sono andato ad ascoltarlo e a farmi una chiacchierata al meeting di Rimini… Ha aperto una stupenda sede a Napoli ed una a Milano. Voi glieli dareste i soldi ad un tipo così? Ora non dico che tutti possiamo ripetere gli stessi exploit ma possiamo fare in modo che il web (e non solo) parli di noi.

Che tipo di content abbiamo?

  • Istruttivo
  • Emozionale
  • Divertente
  • Persuasivo

“Fai di te stesso un brand” con la metodologia Inbound

Vi faccio l’esempio di una start up atipica: un libro. “Fai di te stesso un brand” di Riccardo Scandellari. Riccardo da me stimato e definito il “Macchiavelli del personal branding” ha usato un modello vincente: ha chiamato a scrivere sul suo libro i più noti influencer (cioè coloro che avevano un seguito nei più importanti social (molti lo hanno fatto).

Non solo, nella prefazione del libro, ha ringraziato e citato per nome tutti i più importanti e rilevanti guru (fra i quali il nostro padrone di Casa Mirko Pallera e Giulio Xhaet) con una mossa (simpaticamente) “diabolica”.

Nell’antichità si iniziava con l’invocazione alle Muse: Riccardo ha iniziato con la captatio benevolentiae ai numi tutelari del web marketing nazionale. 😉 Tutti hanno parlato bene del libro e nello stesso tempo sono aumentate le vendite del suo libro, un mini best seller nel settore di riferimento (edito dall’ottimo Enrico Flaccovio: un giovane dalla visione e dalla lungimiranza lodevoli).

E siccome Skande è proprio furbo, non ha tralasciato neanche i benefici della SEO perché se andate a vedere il post nel quale parla del suo libro ha puntato alla keyword personal branding (la url è personal branding). Chiunque fosse interessato all’argomento personal branding troverà il libro di Skande fra le primissime posizioni.

A completare il tutto Skande si è concentrato su un’intensa attività sui social, sui blog propri ed altrui ed ha investito su campagne di Adwords e Facebook. Il suo successo è frutto di un lavoro di anni, di una consolidata attività di super blogger, ma il modello è ripetibile in qualsiasi ambito.

L’Inbound Marketing funziona sempre? È l’unico modello?

No. Se siete la Coca Cola, Hermes, Ferrari, e uno status Symbol probabilmente non ne avete bisogno (anche se Chanel, che è Chanel, sta investendo fortemente sul content marketing e sull’inbound Marketing).

Ma se siete un outsider ve lo consiglio vivamente. Vi faccio due esempi di outsider che difficilmente avrebbero potuto, senza il content marketing ed una strategia Inbound, arrivare dove sono…

Il primo e più clamoroso è Obama (Meerman Scott lo porta come esempio di più innovativo marketer dei nostri giorni). Sposando magistralmante un messaggio innovativo, una storia personale unica e usando al meglio il Web è riuscito a fare quello che ha fatto. Come? Impersonando il cambiamento, il viaggio dell’eroe, l’archetipo di Davide che batte Golia, cavalcando il sogno.

Come lo ha fatto? In maniera molto più scientifica e meno poetica: ha lanciato ad ognuno il giusto messaggio, ha raccolto le firme, fondi, mail, ed ha sfruttato tutto in maniera scientifica, ha pubblicato un libro sulla speranza…

Ecco i suoi numeri.

● 500 milioni di dollari raccolti tramite il Web,
● oltre 10 milioni di indirizzi email nel database,
● più di 10 milioni di amici su Facebook,
● 1 miliardo di minuti di video girati dai fan,

Obama e il suo staff hanno insegnato ai politici di tutto il mondo come interagire con la Rete facendo comprendere ed utilizzando a proprio beneficio le logiche comunicative proprie del nuovo medium.

Online la comunicazione segue paradigmi nuovi: diventa di tipo bottom up (dal basso verso l’alto) e si propaga da molti a molti. Lo staff del primo presidente afroamericano è riuscito a:
● realizzare un sito web accattivante, vero e proprio hub della sua comunicazione digitale;
● fare un uso intelligente della newsletter;
● sfruttare immagini suggestive e web friendly per accrescere l’engagement dei sostenitori;
● costruire comunità di follower e blogger in grado di appoggiare e diffondere il proprio messaggio;
● utilizzare un’appropriata strategia SEO e SEM al fine di intercettare le domande più ricorrenti in rete e far conoscere la propria opinione in merito;
● fare della Rete un potentissimo strumento di fund raising.

Non solo, nel 2012 Obama ha sollevato ulteriormente l’asticella tanto da poter affermare, come sostengono gli autori di politica digitale, che in America si siano tenute le prime elezioni digitali della storia. Barack ha dato inizio alla campagna con un video su YouTube ed ha presieduto tutti i social network (studiando una strategia di approccio propria per ognuno di essi). Il 30 gennaio 2012 il presidente ha mandato in diretta streaming su YouTube l’evento intitolato “Obama’s Google+ Hangout”: dalla Stanza Ovale rispondendo alle domande dei cittadini selezionate tra le oltre 133mila pubblicate su YouTube.

Ricordo anche…

In Italia Grillo con tecniche molto meno raffinate si è trovato a governare un paese, con un blog e con una serie di attività online e offline. Ricordate Fassino quando lo ha sfidato? Lo etichetterei con il seguente hashtag: #epicfail.

Buon growth hacking, buon inbound marketing e buona SEO a tutti. E se doveste ritirarvi in un’isola e fare fortuna, si accettano biglietti di sola andata! 😉

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